Poggio alla Croce |
Società Mutuo Soccorso Poggio alla Croce |
Il Territorio |
Poggio alla Croce è una località posta sulla sommità di una delle ultime propaggini del Chianti fiorentino, a 521 metri sul livello del mare, tra la valle dell’Ema e il Valdarno superiore, si trova in una invidiabile posizione che spazia a nord verso il Chianti sino all’Appennino pistoiese e a sud verso il Valdarno fino ad Arezzo. Il Paese si sviluppa in orizzontale proprio nel punto di trapasso tra le due valli, ha origini più antiche di quanto si possa credere. Predominano le costruzioni recenti ed anche su quelle più antiche sono intervenute profonde ristrutturazioni. Il verde comunque, che spesso assume tonalità più scure per la presenza di alcuni cipressi, caratterizza l’ambiente. Il paese negli ultimi trenta anni è passato dai 100 abitanti del 1980 ai più di 250 di oggi, divisi per appartenenza tra i comuni di Incisa Valdarno, Greve in Chianti e in piccola parte Figline Valdarno.
Il paesaggio prevalentemente collinare si staglia in un’alternarsi di colori che alterna boschi a coltivazioni di ulivi e viti. Ci troviamo al confine nord-est della zona del Chianti Classico, prodotto dall’antica fattoria La Novella. Anche l’olio è prodotto tipico lo caratterizza il sapore amarognolo ed una acidità assai bassa. Una cultura di particolare interesse economico, che in passato era molto diffusa, è quella del giaggiolo; i suoi bulbi (rizomi) dopo essere stati essiccati al sole vengono venduti ad aziende del settore cosmetico, per la maggior parte Francesi, per preparazioni di vario tipo: profumi, ciprie, saponi, coloranti.
Castelli, poderi, vigne, ruderi trasformati in splendidi agriturismi offrono in ogni periodo dell’anno soggiorni indimenticabili all’insegna del riposo e di un ritrovato contatto con la natura e con sapori semplici e genuini. Siamo in un ambiente prettamente toscano e questa espressione contiene l’affermazione totale del suo significato.
Poggio alla Croce è circondato da zone boschive tra le più suggestive, intatte e storicamente fondamentali di questo territorio. La zona prende nome dal Monte Scalari (710 metri sul livello del mare), cima elevata sul crinale di una catena di monti che, distaccandosi dall’Appennino, dividono la valle superiore dell’Arno da quella inferiore e la zona del Valdarno da quella del Chianti. Gli altri rilievi, che raggiungono quote di tutto rispetto, sono Poggio La Sughera (790 metri), Poggio Tondo un tempo appellato Monte Scalari (785 m), Poggio La Beccheria (775 m), Monte Castellino (760 m) e Monte Moggino (727 m). Sulle loro pendici nascono varie fonti, quelle più vicine la nostro pese sono: la Fonte al Lamo, ben conosciuta visto che si trova proprio sulla strada che porta a Figline, la fonte ai Trogoli sul sentiero che porta a Badia Monte Scalari, oltre le tre fonti da cui nasce il torrente Ema; Fonte San Giovanni, Fonte agli Aceri, Fonte di Faule. Queste danno vita a numerosi corsi d’acqua che, riuniti in borri e torrenti, si insinuano nelle gole, per scendere fino a valle.
Nei boschi dominano latifoglie decidue, in prevalenza castagni, roverella, cerri, carpini neri e lecci. La coltura del castagno è stata così intensa e diffusa che ha cambiato l’aspetto della montagna ed è difficile ricostruire la sua costituzione originaria. Oggi la coltivazione di questa pianta ha subito una drastica riduzione, sia per il cambiamento culturale ed economico della popolazione, che per l’attacco virulento che ha subito negli anni, a causa del “mal d’inchiostro”, malattia dovuta ad un fungo (Phytophora cambivora) e dal “cancro corticale”, sempre causata da un fungo (Endothia parasitica). Il castagno ha avuto un grande rapporto con il vino: il bosco ceduo forniva pali per le viti; il legno era usato per fare doghe, botti, tini. In passato esistevano anche vari castagneti da frutto (fustaia) i quali hanno rappresentato un’importante risorsa alimentare. Il frutto è un achenio comunemente chiamato “marrone”, molto più grosso, scuro e più squadrato della castagna. E’ racchiuso dentro un involucro spinoso, chiamato riccio che raggiunta la maturazione durante i mesi di ottobre, novembre si apre dividendosi in quattro parti. Attualmente sono quasi tutti in stato di abbandono, si tratta di vecchi alberi che il tempo ha fatto loro assumere strane forme rendendo l’ambiente circostante un aspetto magico. Una grande economia ha ruotato intorno a questa pianta e forse non merita che sia completamente perduta. La roverella comunemente chiamata querciolo, è una specie di quercia resistente all’aridità e facilmente riconoscibile d’inverno in quanto mantiene le foglie secche attaccate ai rami a differenza delle altre varietà. Questo albero è utilizzato come legna da ardere avendo un ottimo valore calorico e una lenta combustione, si trova principalmente nei versanti esposti a sud. Oltre agli alberi citati, conviene ricordare anche pini ed abeti e corbezzoli sparsi qua e là nel bosco. Da tenere in considerazione è la presenza del cipresso; prevalentemente a scopo ornamentale, ricordo dei Romani i quali erano soliti piantarlo presso le loro abitazioni ed anche intorno ai sepolcri. La specie che spesso si incontra è quella “pyramidalis” con chioma conico-piramidale. Degno di nota è il maestoso esemplare di cerro secolare nei pressi della Badia a Monte Scalari, chiamato “Cerro dalla cento braccia”. Il microclima di questa zona, permette lo sviluppo di un abbondante sottobosco ricco di macchia mediterranea tra cui si trovano varie specie di erica comunemente chiamata “Scopa”, la ginestra e varie specie di arbusti spinosi come il ginestrone volgarmente chiamato “scardiccio”, il rovo, rosa, il prugnolo, il biancospino, il ginepro, agrifoglio e pungitopo. Nelle zone più degradate il castagno o querciolo diventa più rado prevalgono gli arbusti, tra cui la ginestra dei carbonai, “scardiccio” (Ulex europaeus), “stecco” (Prunus spinosa), la “scopa” (erica) ed il caprifoglio etrusco. Alcune zone collinari, esposte ai venti (come Poggio Beccheria), crescono ginestrone e ginestra dei carbonai, brentine, felce aquilina, calluna, con prevalenza di una o dell’altra specie. È una vegetazione tipica dei boschi degradati, dopo il passaggio di un incendio o su coltivi abbandonati. Talvolta il ginestrone si sostituisce alla ginestra dei carbonai e forma popolamenti compatti che si ritrovano anche all’interno del bosco. La posizione collinare esposta a nord è umida, il terreno di alberese, roccia arenaria, favorisce nella stagione primaverile la crescita di varie specie di fiori, fra i quali Orchidee di varie specie, campanule, viole. Si distinguono varie erbe tra cui quella aromatica nepetella o mentuccia (Calamintha nepeta), la robbia, l’erba lucciola. Per gli appassionati di funghi, si possono trovare varie specie, da Boleti, Lattari, Russule e altre specie commestibili e non. I più ricercati sono i porcini che nascono nei mesi da giugno a settembre. Interessante sotto il profilo ambientale, area boschiva nella zona di Monte muro, chiamata “nicchia ecologica” quasi unica in Italia, per la presenza a sei/settecento metri di altitudine e a novanta chilometri dal Tirreno, di una flora tipica del litorale che qui si conserva alimentata dalle correnti marine che vi giungono lungo il corso dell’Arno. L’uomo ha interferito pesantemente sulla fauna selvatica tramite l’introduzione ripetuta di specie alloctone prevalentemente per scopi venatori e lo svolgimento della caccia vera e propria. In tempi passati gli animali che frequentemente si incontravano nel nostro territorio erano i fagiani e le lepri, adesso ridotti notevolmente e reintrodotti di continuo a scopo venatorio. Attualmente gli animali più diffusi sono il cinghiale e il capriolo. Nel secolo scorso il cinghiale era sparito da varie regioni d’Europa, ma dopo pochi anni, è tornato ad espandersi complici le numerose reintroduzioni a fini venatori, nella nostra zona effettuate negli anni settanta. Durante i periodi autunnali e invernali, la nostra zona è frequentata da varie squadre di cacciatori ed è consueto sentire i cani che inseguono il cinghiale (canizze). Anche il capriolo, introdotto nel nostro territorio, ha trovato un ambiente molto favorevole. Il maschio adulto possiede piccole corna a tre punte che cadono e ricrescono alla fine dell’inverno. I maschi per gran parte dell’anno conducono una vita solitaria, mentre le femmine spesso vivono in branchi. La veloce espansione e la riduzione graduale del loro habitat spingono queste due specie di animali in ambienti agricoli dove sono molto dannosi per le coltivazioni di cereali, frutti e uva. Questi animali stanno creando problemi anche alla sicurezza della circolazione stradale visto i numerosi incidenti che causano. Per tutti questi motivi esistono piani di abbattimento che per il momento sono risultati insufficienti. Sono stati di più recente reintroduzione il cervo e il daino. Tra i mammiferi predatori troviamo in gran numero volpi e faine in minor numero donnole e puzzole meno comune ma presente il tasso. Tra i piccoli mammiferi si possono facilmente avvistare scoiattoli, e ricci, più grande è l’istrice in spontanea espansione. Qualcuno dice di aver avvistato anche il lupo. Le specie d’uccelli presenti sono tipiche di quelle toscane: dai passeracei ai colombacci, dai merli ai tordi. Alcune specie d’uccelli ci fanno compagnia per l’intero anno come il merlo, il picchio verde e rosso, le gazze e le ghiandaie che vengono a mangiare la frutta negli orti, altri invece considerati nocivi come lo storno. La poiana la cui sagoma ricorda quella di una piccola aquila in miniatura, volteggia di spesso nel cielo, disegnando cerchi concentrici, pronta a lanciarsi con una lunga planata su una preda. Di notte possiamo incontrare barbagianni, gufi e civette. Nelle nostre colline in autunno è intenso il passo degli uccelli migratori. In questi mesi è frequente udire il “rugolo” del colombaccio selvatico dalla sua livrea plumbea, macchiata di bianco ai lati del collo e sulle remiganti alari. Lo zirlo del tordo che all’alba saetta nell’oliveta o il cinguettare allegro dei fringuelli con il loro volo saltellante. Con i primi freddi alla fine dell’autunno, come per magia, appare dalle viscere del bosco “la regina” con il suo volo morbido e radiante, sfiorando con le ali sulle cime delle ginestre, e si “rimette” lungo il torrente ghiacciato. E’ la Beccaccia, dai grandi occhi languidi di velluto nero ed il lungo becco, preda ambita dai vecchi cacciatori del luogo. Questi sono gli uccelli che raggiungono il nostro territorio per trascorrere l’inverno e ripartono in primavera verso le regioni settentrionali dell’Europa dove nidificano. La primavera è annunciata dal cuculo, non è raro udire il ritornello, di notte invece l’uccello chiamato popolarmente “chiù” o “stiaccione” crea quasi un ambiente di sogno a differenza dei barbagianni che folgorano col lucentissimo sguardo. Gli uccelli estivi o “estatini” come: la tortora con il suo inconfondibile canto, il rigogolo e l’upupa con il suo piumaggio particolare, giungono nelle nostre zone per nidificare e ripartono in tarda estate per il sud dove trascorrono l’inverno. Varie specie di rettili, fra i quali la Vipera riconoscibile facilmente dalla sua testa triangolare, la coda che si restringe in modo brusco e le pupille verticali. Per iniettare il veleno utilizza lunghe zanne mobili che, quando il serpente apre la bocca, formano un angolo di 90° con la mascella mentre quando la chiude le zanne vengono ruotate contro il palato. Molto frequente imbattersi in coleotteri stercorari che si nutrono di funghi marcescenti in mancanza di sterco animale. D’estate è facile trovare lo scarabeo rinoceronte e cervo volante.
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